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IL VIDEO DEL RIENTRO a cura diu Vivienna-Vivisicilia.it

La statua di dea conosciuta come  Venere di Malibù (dalla città californiana ove ha sede il museo Paul Getty che la ha ospitata dal 1988) o di Morgantina (dalla zona archeologica dove qualche anno prima i tombaroli l’avevano trovata), è alta 230 centimetri e rappresenta una divinità in posizione stante, ma, nel contempo, in un atteggiamento dinamico che le fa riempire di sé tutto lo spazio circostante.

 È una scultura acrolitica, o meglio pseudoacrolitica; il busto è scolpito in pietra calcarea, la testa, le mani e i piedi, invece, in fine marmo greco, forse marmo pario. Secondo il professore Clemente Marconi “malgrado lo smembramento, la dea resta uno splendido originale, uno dei migliori che si siano conservati della scultura greca classica dell’ultimo trentennio del V secolo”; l’artista, pur avendo realizzato l’opera in Sicilia, come ha dimostrato l’analisi petrografica, trasse ispirazione dalla scultura attica di scuola fidiaca che si sviluppò, tra il 420 e il 410 a.C., in Atene. Se ci sono abbastanza certezze rispetto all’epoca di produzione ed è possibile quindi procedere ad uno studio comparato con esemplari della statuaria contemporanea greca e siceliota, resta molta incertezza circa l’identificazione con una precisa divinità: Afrodite-Venere? Demetra-Cerere? o Persefone-Proserpina?

Venere, Demetra, o Persefone?

LA QUESTIONE DELL'IDENTIFICAZIONE: AFRODITE, PERSEFONE o DEMETRA?
Agli scavatori clandestini, oltre ai delitti del trafugamento, dello smembramento del capolavoro al fine di occultarlo e trasportarlo, va imputato anche quello gravissimo di averci privato della possibilità di studiare sul sito uno dei massimi capolavori della scultura classica greca in Sicilia. L’ impossibilità di poter studiare il reperto nel suo ambiente naturale, la mancanza di quegli attributi (es. la fiaccola, la phiale, la Nike) che in genere accompagnano le statue delle divinità nel loro ritrovamento, hanno reso difficile, se non impossibile, l’identificazione che quindi si può basare principalmente sulle caratteristiche fisiche e sul costume indossato dalla dea. Infatti, la presenza del chitone e dell’imation, peculiari nella rappresentazione statuaria di Afrodite, avevano fatto propendere per questa ipotesi, al punto che l’appellativo di Venere o Afrodite è divenuto ormai emblematico della dea e della complessa vicenda del ritrovamento e della restituzione. Da parte degli studiosi di iconografia si è fatto però notare che nella nostra statua la spalla è coperta; in genere, infatti, le statue di Venere presentano la spalla o addirittura il seno scoperto, evocante la sensualità propria della dea dell’amore.
Il professore Antonio Giuliano in un ormai famoso e suggestivo articolo dal titolo “Signum Cereris” (1993) propende per l’identificazione con Demetra, il cui culto era molto praticato in tutta la Sicilia e nell’ennese in particolare. A supporto della sua tesi porta due prove di grande interesse: a) la testimonianza di Cicerone che, nelle Verrine, descrive la statua marmorea di Demetra-Cerere, “bellissima e molto grande”, che aveva visto ad Enna, e che stava davanti al tempio di Cerere in un luogo aperto e spazioso; b) la divinità rappresentata in alcune monete ellenistiche di bronzo, provenienti da Enna ma conservate a Berlino, in cui la dea è vestita di una lunga tunica (chitone) ricoperta dall’imation (mantello) mentre sorregge in una mano una Nike e nell’altra una fiaccola. La fiaccola e la Nike sono attributi di Cerere, ma nella iconografia classica la dea delle messi veniva distinta dalla figlia Persefone attraverso l’abbigliamento: a lei era attribuito il peplo e l’imation alla figlia il chitone e l’imation.

La restituzione della stauta ha visto la comunità aidonese impegnata in anni di lotta, per averne un idea basta leggere questi articoli:

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