Il galloitalico siciliano e aidonese
A carcarazza
Gli aidonesi sono stati da tempo immemorabile bilingui, almeno nel dialetto; parlavano la forma originaria, molto vicina ai dialetti settentrionali e poi, per farsi capire dai forestieri siciliani, usavano una forma sicilianizzata, più comprensibile. La forma antica, che chiamavano "parrèr' accuscì o parrer' a carcaràzza", veniva ritenuta volgare, arcaica, ci si vergognava a parlarla con i forestieri, ma anche nei luoghi o nelle occasioni pubbliche. Ecco quindi che preferivano il "parrar' accussì", più comprensibile e accettabile.
Il verso della gazza, a carcarazza, uno dei più sgradevoli nel repertorio ornirtologico era preso a paragone per definire la parlata galloitalica. Mi sono divertita a rappresentarla così:
A carcaràzza
Vola basc’ cā cuva ddunga e tisa
a carcaràzza,
vusgiànn’ ch’ t’ fè r’zzèr’ i carn’.
Nt’ l-arbul iaut’,
danànz’ ‘ncasa mia,
s-à fait u nìd,
e d’ zzà stramanna
l-aucedd’ ch’ s’ gghj’ ncùgn’n!
I r’nn’nedd’,
ca prima ièr’n’ a m’gghjàra,
ura appìna, appìna, s’ fan’ vid’r.
I palumm’
s’ n’ stan’ ncav’ i titt’:
nan s’ r’sìch’n d’ scìnn’r.
E i pov’r’ cardìdd’,
ca prima d’ l-arbul jèr’n’ i patrùi,
fun’ sfrattàr’ e nan s’ vist’n cciù.
Manch’ i merr’
agg’ scadùit’ auànn’
À dduntanait’ pur’ a iddi’?
A carcarazza à fait’ ciazza pulita d’ tutt’
E ura sul’ u so scannèdd’ n’ trapàna i rigg’ ….
Accuscì gghj’ parìva ō dadunìs’
Quann’ s’ntìva a parrèr’ i so paisài!
A ddinga dī patr’ gghj’ rr’nniva ngrata,
gghj’ trapanava i rigg’
E ngiuriava a cudd’ cā usav’n,
disgiva ch’ parràv’n’ a carcaràzza.
S’ vr’ugnàva d’ usèr’la o paìs’,
S’ sfuàva a v’rsùra e ncasa so,
unna u scutàv’n sul’
cudd’ ch’ parràv’n’ com-a ìu.
Ièra na r’cchìzza e ìu non sapìva
E pr’ cuss’ jera d’stinàit a d’v’ntèr sempre cciù sc’ntìngh’!
Maccàr’ gghj’ parìva cciù beu dir’ a so zita
T’ vogghj’ ben’ armuzza dū me cor’
Invec’ d’ dir’ggh’
T’ vogghj’ bingh armuzza dū m’ cur’?
Iera cciu fingh’ e liant’?
E accuscì,
a furia d’ sìnt’la a vr’uògna,
bannunà a so ddinga,
s’ ‘mbastardìu,
menz’ dadunìs’ e menz’ s’ciliàngh
manch’ s-ass’ stàit un carrap’pàngh’ !
E propria, mintri u dadunìs’ s’ rassava dā so matr’,
V’niv’n’ nsìna dā Germania
i professùr’ p’ studièr' a nostra ddinga,
e pur’ i professur’ d’ Catania
zz’ràv’n pū pais zz’rcann’
a ch’ parrava dadunis’,
l-aidunis’ cùu d-accuscì,
cuu a carcarazza,
unna Dadùngh’ s’ po’ dìr’ Aidùngh’
ma mai Dadun’!!!!!
La gazza . Vola bassa con la coda lunga e tesa la gazza, urlando che ti fa venire i brividi.
Nell’albero, di fronte casa mia, si è fatta il nido, e da qua allontana gli uccelli che le si avvicinano. Le rondini, che prima erano a migliaia, ora si fanno vedere appena. I colombi se ne stanno sopra i tetti, non s’arrischiano a scender. E i poveri cardellini, che prima erano i padroni dell’albero, sono stati sfrattati, e non si sono fatti più vedere. Neppure i merli o intravisto quest’anno, ha allontanato pure loro? La gazza ha fatto piazza pulita di tutti e ora solo il suo sgradito verso ci ferisce le orecchie. Così dovevano sembrare agli aidonesi quando sentivano parlare i paesani. La lingua dei padri gli risultava sgradita, gli feriva le orecchie. E scherniva coloro che la usavano, diceva che parlavano come le gazze. Provava vergogna a usarla in paese, si sfogava in campagna e nel chiuso della sua casa, dove lo ascoltavano solo quelli che parlavano come lui. Era una ricchezza e non lo sapeva. E per questo era destinato a diventare sempre più meschino. Magari gli sembrava più bello dire “ti voglio bene animuccia del mio cuore” piuttosto che….E così a furia di sentirlo come una vergogna, abbandonò la sua lingua e si imbastardì mezzo aidonese e mezzo siciliano come se fosse stato un carapipano! E proprio mentre l’aidonese si allontanava dalla sua lingua madre, perfino dalla Germania i professori venivano per studiare la nostra lingua, e anche i professori di Catania andavano in giro per il paese in cerca di qualcuno che parlasse l’aidonese, ma l’aidonese antico, quello da gazza dove….
Com’ passa la nf’rnata
ogn’ pov’r’ aidunis’
dummanàt’l e furnar’
ch’ non an chiù g’nìs:
negghia fitta, vent fort ,
sparrerìj , campàn e mort ,
poi pp’ cìn’ma e teatr
malattìja e ncorch’ latr. leggi tutto
Una favoletta di Fedro in aidonese
Un saggio del nostro dialetto: la trasposizione di una favola di Fedro
A muntagna ch’ f’gghjàva
Na muntagna era lesta d′ f’gghjièr′ e bramiàva accuscì fort′ ch′ parìva ch′ gghj-era u t′rr′mòt′. I paisài curiùs′ pustiàv′n ch′ nasciva na muntagnìta, e taliàv′n′ tutt′ a bucca verta.
Dop′ tant′ vusg′, tant′ ddamìnt′ e tant′ rumùr′, ns′nalmìnt′ a muntagna parturì.
E u savìa sa ch′ nascì ? ...Un surcìt′!
Stu cunt fu scritt′ p′ tija ch′ parr′ assai e nan cunchiùd′ nint′.
La montagna che partorì un topolino
Una montagna era pronta a partorire e urlava co sì fortemente che sembrava ci fosse un terremoto. Gli abitanti del villaggio curiosi aspettavano che nascesse una montagnola e guardavano pieni di meraviglia. Dopo tanti strilli, tanti lamenti e tanto rumore finalmente la montagna partorì: e sapete cosa? …un topolino. Questo racconto è stato scritto per te che parli troppo e non concludi niente.
Ascolta la parlata galloitalica di Aidone
L’aidonese: un galloitalico di Sicilia - Breve nota storico-descrittiva
Il dialetto parlato in Aidone, unitamente a quello di Nicosia, Piazza Armerina, San Fratello e Sperlinga, viene denominato dai linguisti galloitalico. Questi dialetti, soprattutto nella fase più antica, si differenziavano dal siciliano per caratteristiche fonetiche, morfologiche e lessicali.
La loro origine va ricercata ai tempi della dominazione normanna e sveva della Sicilia, dall'XI al XIII sec., quando fu favorita l’immigrazione dei coloni provenienti dall’Italia settentrionale per ricostruire e ripopolare paesi e contrade sconvolte dalle guerre. Vi si insediarono con la loro cultura e la lingua che in alcune contrade, come le nostre , divenne predominante. Le aree di provenienza erano soprattutto Lombardia, Piemonte, l’antica Gallia Cisalpina, da qui la definizione di galloitalico e la relativa somiglianza con il francese che salta anche all’orecchio del profano.
In Aidone, la posizione un po' isolata, nonchè la vicinanza con la galloitalica Piazza Armerina, hanno favorito la conservazione del dialetto per molti secoli, poi l’esigenza di comunicare ed effettuare scambi ha favorito il suo avvicinamento al siciliano. La forma vernacolare, conservata nei documenti scritti (soprattutto composizioni poetiche dell’inizio del Novecento) e nell’uso attuale di pochi parlanti, aveva già subìto l’impoverimento morfologico e lessicale a favore del siciliano e mantenuto più a lungo gli esiti fonetici. All’inizio del secolo (1902), A.Ranfaldi scriveva in un sonetto: “A ddinga ch’ogn giurn us a v’rsùra, Nan eia com a cudda c’tatìna ” (la lingua che ogni giorno uso in campagna, non è come quella cittadina), testimoniando di fatto una situazione di bilinguisno che ancora perdura: il vernacolo parlato in ambienti familiari e rurali e il “siciliano” riservato alla piazza e ai forestieri.
Tale condizione oggi appartiene a pochi parlanti, il resto della popolazione parla solo la forma sicilianizzata che dell’antico galloitalico mantiene il più vistoso esito fonetico: la caduta delle vocali finali e lo scempiamento di
Oltre ad Aidone sono in provincia di Enna i principali centri galloitalici: Nicosia, Sperlinga, Piazza Armerina e poi in provincia di Messina: San Fratello, Acquedolci, San Piero Patti, Montalbano Elicona, Novara di Sicilia, Fondachelli-Fantina.
Quali sono le peculiarità del galloitalico rispetto agli altri dialetti siciliani?
- LA MUTOLA: Abbiamo detto che il fattore fondamentale di differenziazione è costituito dalla fonetica, l’elemento che di primo acchito salta all’orecchio è la presenza della mutola, di questa vocale indistinta, quasi muta, ma della quale percepisci lo spazio e l'intensità. La frequenza della mutola in fine di parola, fa sembrare le parole tronche e l’etimologia popolare da sempre ne ha attribuito l’origine al francese. Questo è ancor più vero nell'aidonese dove si può dire che non esista parola che non presenti almeno almeno una mutola, alcune ne presentano un numero tale da rendere la parola scritta quasi illeggibile, un esempio per tutti: ż'r'mingh' ,la cicatricola dell'uovo ( dal lat. Germinem ).
IL TRONCAMENTO DELL'INFINITO VERBALE Un' altra caratteristica che fa tanto "francese" il galloitalico; mangè / mangèr' e poi part'r e vinn'r , fer', parrè, z'rchè.
L'IPERCORRETTISMO che si manifesta come ipersicilianismo, cioè un esagerato adeguamento alla lingua dominante:
es.: la -ll- intervocalica diventa come nel siciliano -dd- ( bedd' > beddu ) ma il processo di adeguamento va oltre cacuminalizzando tutte le < l >, anche in posizione iniziale, siano esse scempie o doppie: in aidonese: dditt' (letto), ddusgèrdula (lucertola), ddumàr' (accendere), esisti sconosciuti al siciliano.
ESITI PARTICOLARI NEL CONSONANTISMO: - - la
- la < ż e żż > (suono sonoro di zero) che deriva dalla < g+ vocale palatale>, sia in posizione iniziale che intervocalica: es. żenn'r', żimm' , friżż'r (genero, gobba, friggere) a fronte del siciliano: iènniru, immu,friiri.
- la < zz- > (suono sordo di piazza, zio) che deriva da < c + vocale palatale> es. zzinn'ra, zzipp' : (cenere, ceppo), contro il siciliano cinnira e cippu
- la < sg > (suono che richiama più o meno quello del francese jamais, je) da <-c-> intervocalica seguita da vocale palatale
- la < ngh >, l’esito forse più tipico, cioè la velarizzazione della nasale in finale di parola singolare che termini con <-uno, -ino, ono, one, ano...> es.: ungh’, ż'r'mingh', mangiungh’ , pangh’, vingh’, purtungh’ (uno, cicatricola, mangione, pane e vino
L'abbandono di questi esiti, sentiti come lontani dal siciliano, in un certo senso rustici e pesanti, è la caratteristica che fa la differenza tra la parlate arcaiche, parrer' accuscì o a carcarazza e quella sicilianizzata, parrar' accussì.
UN TESTO DELLA "LETTERATURA" GALLOITALICA AIDONESE
del poeta satirico VINCENZO CORDOVA
Cunsiggh’ a na carusa maira - ASCOLTALO
Digghj’ a to matr’ ch’ t’ ddiva buna
A carn’ è menza dota pâ carusa;
Se stai intra tutt’ i giurn' nciusa
Nan t’ marìj e nan poi fè furtuna.
Ntê fest’ viavàtt’n ada missa,
strinz’t' buna ch’ t’ sgridda u pitt,
mint’t’ i v’stì’n’ i ciù pulìt’,
vid’ se poi ncagghjèr ncocch’ fissa.
Non gghj’ ddivè nto pangh’ cciù muidda,
Di pasta viattìnn’ na scuìdda;
S’ non mi scut’ fai a to sv’ntura,
E rest’ p’ iancàu d’ tannura.
Questo bozzetto, palpitante di attualità in nell'immagine di quella giovane che leva la mollica dal pane per non ingrassare, è di Vincenzo Cordova (1869-1943), nipote del famoso statista Filippo e cugino dell’omonimo Vincenzo Savinio) .
Traduzione
CONSIGLI AD UNA RAGAZZA MAGRA
“ Di’ a tua madre che ti allevi bene;
la carne è mezza dote per una ragazza.
Se stai chiusa a casa tutti i giorni
non ti mariti e non puoi fare fortuna.
Nelle feste vattene a Messa;
stringiti bene affinché ti prorompa il seno,
mettiti i vestiti più nuovi,
vedi se accalappi qualche fesso.
Non togliere più la mollica dal pane,
divora una scodella di pasta;
se non mi ascolti fai la tua disgrazia
e resti come i muretti del focolare.”