Aidone la Chiesa di Sant'Antonio Abate e l'affresco

La chiesetta medievale di Sant’Antonio Abate, posta all’ingresso orientale del paese, costituisce uno dei monumenti più suggestivi e ricchi di storia di Aidone.  È  probabile che in origine fosse a croce greca, come testimoniano i contrafforti delle pareti laterali; dell’edificio medievale conserva l'abside e il portale occidentale; settecentesca è invece la sopraelevazione della torre campanaria, con i due piani a monofora con arco a sesto ribassato, e la cuspide ricoperta di cocci di ceramica variopinta (come nella chiesa di San Giuseppe). La presenza sulla parete sud orientale di portale culminante in un arco a sesto acuto, affiancato da piccole finestre a feritoie, ha fatto pensare che la sua costruzione risalga all'epoca araba (teoria sposata da Gioacchino Mazzola nella sua  "Storia di Aidone" pag. 41-42: "Altra moschea era sulla Via Romana, di cui, oltre le fondamenta a levante ed a mezzogiorno, si ammira la splendida porta, strettissima e bassissima, che ne costituiva l'entrata. Ai due lati di essa, vi sono due piccole finestre, strette strette, a mò di spiraglio, che servivano per dar luce e per non far vedere ai profani le funzioni dei fedeli di Allah. L’arco della porta, a ferro di cavallo, di bella fattura, è di pietra bianca del Ciappino, e termina con due teste umane, dalle guancie rigonfie e dalle bocche sporgenti, discretamente plasmate, e di cui una ben conservata. Ma i Normanni, che costruirono tante chiese, convertirono la moschea in tempio cristiano. Chiusero a mezzogiorno la porta e le finestre, e costruirono a ponente una bell'entrata di puro stile gotico, con pietre bianche e nere, alternate tra loro. Indi v'innalzarono il campanile, ch'è massiccio sino al primo ordine, ed a mattoni, architettonicamente ben disposti, nei due ordini seguenti, e si ebbe così la chiesa di S. Antonio, pregevole per l'abside ed il portale.") e quindi ad una originaria moschea convertita in tempio cristiano in epoca normanna. La chiesa è ad aula unica ed è dedicata a Sant'Antonio Abate di cui conserva una statua probabilmente settecentesca.  Gli  ultimi restauri, effettuati tra gli anni settanta-ottanta del 900 non hanno sciolto i tanti dubbi ma hanno portato alla luce un affresco, datato 1581, che illustra, con un tecnica quasi fumettistica, le tentazioni di Sant’Antonio Abate. Qui di seguito un mio articolo pubblicato recentemente, in occasione della conferenza tenuta dal filologo Ferdinando  Raffaele che ha studiato le didascalie in volgare siciliano che illustrano i quadretti rappresentanti episodi della vita del Santo. 

Scritture in arte. Le didascalie in siciliano del sant’Antonio Abate di Aidone

C’è una chiesetta nell’estrema periferia orientale di Aidone, a capo della strada che scende verso Catania, percorsa da sempre dai contadini che, a piedi o a dorso di mulo, raggiungevano giornalmente per lavoro le terre che digradano verso la Piana. È intitolata a sant’Antonio Abate, il santo Eremita egiziano il cui culto si diffuse in tutta Europa fin dall’alto medioevo. La chiesa è una delle più antiche di Aidone, certamente di epoca normanna, anche se la tradizione (raccolta da G. Mazzola nella sua Storia di Aidone) la vuole già esistente come moschea in epoca araba; è un piccolo scrigno di bellezza che negli ultimi decenni si è arricchita del ritrovamento di un affresco in cui la figura del Santo eponimo, che troneggia al centro, è delimitata da una serie di riquadri che raccontano episodi della sua vita, accompagnati da didascalie in volgare siciliano. Ben in evidenza è riportata la data 1581, il nome del probabile committente, tale Aloisio, e quello, forse, dell’autore Lorenzo di Palermo.

In questa chiesetta, in questo ultimo scorcio agostano, Ferdinando Raffaele, docente di Filologia e Linguistica romanza presso l’Università Kore di Enna, ha tenuto una interessante lezione dal titolo “Scritture in arte. Le didascalie in siciliano del sant’Antonio Abate di Aidone”.

L’evento organizzato dall’amministrazione comunale si inserisce all’interno del progetto “Comunità educanti - I semi di Demetra - Un progetto con i bambini” che vedrà impegnati, ancora per i prossimi due anni, non solo la comunità scolastica ma anche quella civile e delle associazioni; il comune è partner del progetto di cui capofila è il circolo di Legambiente di Piazza Armerina. La lezione è stata preceduta dai saluti del Sindaco Annamaria Raccuglia e del parroco Don Giacinto Magro, e introdotta dall’assessore Alessandra Mirabella.

Proprio a un passo della cona di Sant’Antonio il professore Raffaele, con l’ausilio di un vasto repertorio di immagini, ha illustrato l’affresco nel suo complesso e nei dettagli. Il dipinto, nella modalità delle storie narrate nei riquadri posti a cornice del quadro principale e accompagnati da didascalie, si inserisce all’interno di una diffusa tradizione quattro-cinquecentesca, che il professore ha esemplificato con icone provenienti da tutta l’Italia e dalla Sicilia in particolare. Le iscrizioni sono in latino o in volgare locale, quest’ultimo sostituito man mano dal toscano, riconosciuto ormai come un italiano di koinè; la scelta della lingua connotava certamente il pubblico di fedeli a cui era destinato. e il volgare era compreso facilmente dagli appartenenti alle classi più umili.

Il nostro è particolarmente interessante anche perché, come la datazione ci dimostra, è una delle “ultime attestazioni di scrittura in volgare siciliano che ancora conservano una spiccata autonomia linguistica” (Raffaele). Lo stile grafico, tipico dei manoscritti, presenta segni di contrazione, punti divisori di parole, simboli per parole contratte; i testi sono scritti in maiuscolo senza segni di punteggiatura e, come nella tradizione narrativa medievale, si aprono sempre con l’avverbio “come” “comu”, contratto in “cou”.

I riquadri sono posti quattro a destra e quattro a sinistra dell’immagine del santo che è rappresentato seduto su un seggio con i simboli iconografici tipici: il pastorale, il tau, il libro aperto e rivolto verso lo spettatore, l’aureola, l’abito bianco coperto dal mantello nero, che si ripete nei quattro riquadri posti a destra; ai suoi piedi il porcellino e un fuoco acceso evocano il patrono degli animali e il santo che protegge dal fuoco, in particolare dal cosiddetto fuoco di Sant’Antonio, l’erpes zoster.

Ad un occhio attento non sfugge che le due serie di quadretti sono diverse sia per ispirazione che per epoca. Della serie di sinistra ne sono conservati leggibili solo due, le didascalie non sono presenti se non per un brevissimo lacerto; il santo veste una tunica bianca, il mantello è marrone chiaro, il paesaggio di fondo è più curato, le “storie” rappresentate sono ispirate alla “Vita di Antonio” di Atanasio di Alessandria. Sembrano sovrapposte a quelle più antiche, a cui probabilmente appartiene la traccia di scrittura (più simile a quelle di destra). In uno il Santo è rappresentato mentre benedice due cani ammansiti e nell’altro mentre è tentato da una donna, imbellettata e con due cornetti che si affacciano sulla testa a significare il demonio.

Il tema delle tentazioni è dominante nei quadretti di destra, dove le scene e le didascalie, ben conservate, si spirano alla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (padre domenicano e vescovo di Genova. 1230-1298). Raccontano di come il santo fosse continuamente insidiato dai demòni, narrano l’episodio, riportato nella Legenda, di come il diavoli lo avessero bastonato e poi di quanto grande gli apparisse “ Comu lu demoniu aparsi a S. Antoni di tanta grandiza chi paria tocasi il chelo, et li disi chi era Satanàs” che nella fonte suona “Huic dyabulus aliquando intanta proceritate apparuit quod celum capite tengere uideretur. Quem cum Antonius quis esset interrogasset et ipse se Sathanem esse dixisset” (cit. da F. Raffaele, “Scritture in arte: il Sant’Antonio abate e storie della sua vita di Aidone e le sue didascalie in siciliano” A.S.Si.Ce.M. Anno V. n. 18. 2018 pag.201). Nell’ultimo quadretto si prende definitivamente atto del culto che ormai circondava la sua tomba e della sua fama di taumaturgo.

Dalla sua scoperta il nostro affresco ha suscitato l’interesse degli studiosi, dopo questo apprezzatissimo studio del professore Raffaele sulle didascalie, sarebbe interessante che qualche studioso analizzasse i dipinti sia in senso diacronico che sincronico, per stabilirne il valore ma anche le differenti stratificazioni e datazioni. Quel 1581 appartiene alla prima versione o al tentativo di “restauro”?

Comunque sia, è palese come un manufatto, scoperto nel tempietto medievale di un paesino del centro Sicilia, e la chiesetta stessa, ci aprano uno scorcio sul panorama storico e culturale della Sicilia Medievale e premoderna, sulla circolazione di modelli, testi e culti ben conosciuti nel resto d’Italia, in Europa e nell’aera del Mediterraneo.

Nè si dovrebbe tralasciare una riflessione sullo spirito religioso di quei contadini che per secoli si sono inginocchiati davanti a quella porta e a quell’altare prima di intraprendere la faticosissima giornata lavorativa e al ritorno serale per ringraziare il santo, quando finalmente la porta di casa era a due passi. In epoca più moderna, quando la fatica era rappresentata anche dal durissimo lavoro in miniera, si sentì il bisogno di costruire una cappella, a capo della strada che portava verso la miniera del Baccarato, dedicata al Signore della Provvidenza, dagli aidonesi chiamata semplicemente “U Signiruzz”; la chiesetta “scoperta” e valorizzata da Don Angelo Ventura, parroco di Sant’Anna, aggiunge un altro contributo al recupero di quella storia minore che rischia di essere dimenticata. Scritture in arte. pubblicato sul quindicinnale Settegiorni.it 

"Altra moschea era sulla Via Romana, di cui, oltre le fondamenta a levante ed a mezzogiorno, si ammira la splendida porta, strettissima e bassissima, che ne costituiva l'entrata. Ai due lati di essa, vi sono due piccole finestre, strette strette, a mò di spiraglio, che servivano per dar luce e per non far vedere ai profani le funzioni dei fedeli di Allah. L’arco della porta, a ferro di cavallo, di bella fattura, è di pietra bianca del Ciappino, e termina con due teste umane, dalle guancie rigonfie e dalle bocche sporgenti, discretamente plasmate, e di cui una ben conservata." Mazzola Storia di Aidone. pag. 41