O. Profeta "Odia il prossimo tuo" CAP IV

CAP. IV

Due giorni dopo, D'Auria fu assolto «per non aver commesso il fatto».
Spalle di legno apprese la notizia appena sceso di cavallo, dopo finito il consueto giro mattinale per le visite ai malati, mentre saliva le scale del Municipio.
Stette un momento in piedi nel suo gabinetto di sindaco; poi chiamò il capoguardia e gli ordinò di andar subito a cercargli Rusca, Ingordo e Laspina, che venissero immediatamente.
In quel momento finiva di sonar mezzogiorno all'orologio comunale: e parve a Jena di osservare che questa fosse piuttosto l'ora di andarsene a mangiare un boccone; ma il sindaco. in risposta, gli scagliò contro il frustino che ancora stringeva nel pugno.
Jena non si scompose; raccolse il frustino. glielo posò sul tavolo e uscì.
Passato un quarto d'ora, i tre « compari» giunsero; e, come videro il sindaco più «nero» del solito, restarono dritti davanti a lui, senza nemmeno salutare per non disturbarlo.
Rusca, che era stato condannato a pagar le spese del processo litigioso, aveva la faccia così gialla e gelatinosa che pareva reggersi per merito del solo naso, piantato a piramide sopra la bocca di mascherone; Laspina, che vedeva sfumare un'altra buona occasione di spodestare don Marco, se la prendeva con la barba di caprone, tormentandola inutilmente; l'unico assolutamente impassibile era Ingòrdo: un uomo-ippopotamo, impastato di malumore e di astuzia e che, pur avvelenando il prossimo con elettuarii e cerotti da spezieria, aveva trovato il tempo di entrare in grazia del sindaco e di farsi nominare assessore scolastico. Da parte sua, Ragni (che lo sapeva capacissimo di tradire e un poco lo temeva) lo chiamava il Maccabéo, forse per non dirgli Giuda apertamente.
- Avete visto, eh? - disse il sindaco. - Il pretorello scherza col fuoco, a quanto pare! E va bene! Gioco la testa, se dentro otto giorni non lo faccio saltare come un tappo.

- Non potremmo appellarci? - domandò Laspina.
- Tu non sai quello che dici. La strada è un'altra. Piuttosto, sedetevi, che ci sono novità. Sedetevi.
Ragni aprì un cassetto della scrivania e ne trasse una busta gialla e gualcita.
- E' una lettera di Raya - spiegò, guardandoli ad uno ad uno negli occhi, per godersi l'effetto della strabiliante notizia. Rusca e Laspina, infatti, a udire il nome del brigante. parvero allibire: il Maccabéo, invece, domandò con l'aria più indifferente di questo mondo:
- Che vuole?

- Vuole centonze; sennò, dice, non ci farà avere manco un elettore in tutta la campagna.
- Benissimo! Se vuole cent'onze, voi gliene dovete portare duecento, mi spiego?... Dico «portargliele » personalmente: Raya ammira il coraggio e non si prenderà nemmeno un baiocco, vedrete.
Il sindaco pareva offeso: perchè, salva una istintiva prudenza, le sue meditazioni, dopo la sorpresa della lettera, avevano seguito la stessa strada; e gli seccava che un maccabéo qualunque si arrogasse il diritto di dar consigli a lui. Perciò rispose secco che ci aveva già pensato.
- Oggi a me... (disse ancora) Domani...

S'interruppe: Jena lo guardava con occhio inquietante: voleva forse ricordargli che Raya era suo amico?
- O tu. - gli disse; - vammi a sellare il baio e aspettami a cavallo sotto il Marcato. Hai capito?
Jena volto i tacchi.
- Ed ora. - concluse Ragni, - pensiamo insieme a D'Auria.

*

- O Signore, diceva don Marco in cuor suo, uscendo dalla pretura; Tu mi lasci ancora andare in pace; i miei occhi rivedono i tuoi doni di bellezza; tutte le cose nere sono morte. Posso ancora sorridere: la terra è senza discordia e l'acqua del Poggio è fresca e chiara, tra gli alberi. Quest'altro gioco della vita è finito e gli uomini sono tutti buoni: anche se hanno dodici dita alle mani (come Sciasciòla, che mi abbraccia perchè nessuno lo vede).

La gioia!

- Ma che è, insomma, la gioia. - gli chiedeva ora il pretore, che era venuto a far festa anche lui. in campagna. - La donna che vi offre vini e carezze, o quella la cui bellezza è tale che vi fa il volto grave, come davanti a un cielo dantesco? La luce che si stampa sulla cima dei monti, o l'ombra che tinge di viola le vallate? Il mistero cui anche l'angelo porta un peso sotto l'ala o il segreto che attrista ogni sorriso?
- No! Questa è la gioia: giungere tra cuori che attendono; e vedere i confini della terra allontanarsi di là dal cerchio di luce che preme le montagne; credere che questi alberi siano fatti soltanto di linfa e di nidi; questa è la gioia!... Le tortore, il volo, il canto degli uccelli; il frutteto fiorito; una tavola su cui fuma tranquillamente una tazza di caffè; quest’aria quieta, quella rama che trema, questo cielo... Ecco la gioia, figlio mio.
- Beato lei, che può credere così. Questa è eterna giovinezza. Io non la conosco: nel mio cuore è sempre grigio. Se non avessi l'amore di Agata, potrei dire di essere già vecchio.
- Vecchiaia non esiste – rispose don Marco - nemmeno quando diventiamo coi capelli gialli e lo scheletro ad arco...
Successe una pausa: il giovane senti che doveva ancora tacere; e don Marco continuò:

- C'è in te, vedi? come in tutti i giovani di quest'epoca, l'avidità che ingoia tutte le cose conosciute, prima ancora di averle meritate. La giovinezza di oggi è una divoratrice che avrà sempre fame e sempre sete, perchè cammina come se avesse la febbre. Anche nella comunione dei corpi restate separati, perchè l'amore, per voi, è un gioco: questa è la vostra vecchiaia. Ora, giacchè ne parliamo. (e da tanto tempo. figlio mio, aspettavo quest'occasione) voglio dirti che Agata è veramente immacolata: io, si capisce, ho i miei peccati e m'ingegno di farmeli perdonare. Agata, no: Agata non ha che innocenza e candore: ed io ne ho quasi paura, come se fosse troppo peso per una fanciulla di oggi. Perciò tu mi devi promettere di «non spaventarla». capisci? Devi rivelare in lei solamente la madre, se vuoi che il rito dell'amore ti trasformi le pietre in perle di gran pregio. Puoi prometterlo, figlio mio?
Il giovane era turbato e si mordeva il labbro per attanagliare l'emozione: era la prima volta che il vecchio lo chiamava figlio; e per la prima volta gli rivelava un'anima insospettatamente nobile.
- Non so precisamente se io «possa», signor D'Auria. Ma prometto. Dio voglia ch'io sia degno di mantenere una promessa così grave.
- Dio è in te, figlio mio: non dubitarne.

Morelli gli prese una mano e, se il vecchio non si fosse schermito dicendo che la mano si bacia ai vescovi, certo gliel'avrebbe baciata.

Per solennizzare la vittoria del padrone, molti contadini del vicinato s'eran dati convegno al Poggio e ballavano la quadriglia, al suono dello zufolo di Giudé.
Le quattro cugine sono anch'esse prese dall'allegria e pare ai loro cuori che sia stato sempre così e che sarà sempre così.
Specialmente Agata è felice, accanto al fidanzato, nonostante egli, stasera che dovrebbe essere più contento, non parli quasi affatto.
Le stelle a un tratto infittiscono nel cielo. Ed ecco l'organetto di don Berto, che soffia dietro le case un'antifona triste, come il ricordo del dolore...
Oh povero Giudé! Che vuoi fare? Sei zoppo! Bisogna tacere e andarsene: domani i giornatari devono alzarsi col sole, se vogliono un pezzo di pane! Buona notte... Non si balla più. Se ne vanno tutti. E anche Morelli.
Eccolo un momento al Casalino, sullo sfondo del cielo: per indovinare la strada, s'è legate in cuore le parole del vecchio ed ora le va dipanando ad una ad una, come un filo che l'accompagni su per la mulattiera, allo stradone, al paese, all'alberguccio dove ogni sera, alla stessa ora, la sua giovinezza si abbandona nel sonno e riposa.

Anche al Poggio, tutti riposano, meno la signora Assunta.
La quale, prima di chiudere la porta, strusciò l'ombra di don Berto, che tornava dall'aver fatta la serenata al bosco.
- Cognata, - le disse:- troppa allegria! Fareste meglio ad aspettare, di cantare alleluja!

- Aspettare che cosa?
- Se non gli date il Ferrante, Spalledilegno se la prenderà con chi non c'entra, lo capite?
- Capisco, sì, che avete paura! E, invece di sostenere vostro fratello, vi scansate.

- Io non sono uno stupido: buona notte.
La porta si chiuse.
Buio.

                                                        *

Bandiera al balcone del Municipio?

Seduta di Consiglio.
Ma come mai Gavira non ha ricevuto il solito invito?

Domandò a qualcuno della minoranza, che passeggiava nella piazza: niente! Era chiaro che Ragni inscenava una delle parvenze di seduta che gli servivano a contestare un arbitrio: chi sarà la vittima?
Vide Ingordo e Laspina, che passavano sotto il portone della casa comunale: e allora capì che non poteva trattarsi d'altri che di D'Auria.

(Bisogna ricordarsi che Gavira l'incontrammo quarantadue anni addietro, la sera del 30 giugno 1857, accanto al giovane Marco: e s'ha da sapere che è rimasto tale e quale: romantico e generoso, disordinato e apologetico. Soltanto i capelli sono cambiati, e non gli stanno affatto male, così bianchi).
Volle assicurarsi, anche perchè sperava, chissà!, di poter giovare al vecchio amico della sua infanzia, che sapeva ostinatamente perseguitato dal sindaco.
Giunse nell'aula, mentre Ragni si accingeva ad aprire la seduta.

- Ai vostri ordini, signori! disse intronando la sala col suo vocione di basso profondo: e sostò sulla soglia.

- Avanti, avanti, barone! - rispose Ragni, piuttosto contrariato. Hai avuto l'ordine del giorno?
- Ho visto la bandiera al balcone, là, dietro le tue spalle: e allora ho detto: andiamo! Ti dispiace?

- Tutt'altro: ne sono lietissimo! E così raro vederti tra noi!
- Graziel
Fece qualche passo, tenendo sempre la mano destra sprofondata entro la tasca dei calzoni e la sinistra piegata a gomito, con un sigaro tra le dita: ma si fermò ancora, perchè vide Matalone che andava a chiudere la porta.
- Chiudete? - disse.- E perchè?

- Perchè non viene più nessuno... Lo vedi - intervenne il sindaco.

Al settore di sinistra si levò una timida voce di protesta.
- Niente discussioni, signori! Ho detto che si chiude.
I consiglieri della minoranza abbandonarono l'aula.
Jena li lasciò uscire, fermo impalato; poi chiuse la porta, andò a trarre dal balcone la bandiera, se la mise a spall’arme e si ritirò nell'archivio.
- Come vedi, caro Gavira - diceva ora il sindaco, accingendosi a seguire i suoi amici nel gabinetto della Giunta - debbo salutarti.
- Capisco, sì: ma posso sapere...

- Non giocare di fantasia, ti prego. Ti dirò io di che si tratta: ma promettimi il segreto, perchè ne va della mia pelle.
E mentre Gavira trasecolava, stordito dalla bordata corsara, gli sibilò all'orecchio:

- Raya mi vuole ammazzare!...

La seduta della Giunta fu lunga e laboriosa. Per non lasciarsi sopraffare nell'imminente lotta elettorale, si presero queste « misure»: disfarsi del pretore (trasloco sicuro); promuovere Matalone (amico di Raya); promettere aumenti paga agli impiegati comunali; dare appalti strade campestri; concertare unità di azione tra magistratura e personale di polizia; (ostacolare rilascio certificati d'iscrizione nelle liste elettorali; negare riconoscimento agli avversari votanti); non dare corso alle denunzie penali, fino all'esito della votazione; rivedere Consigli Opere pie e Monti Frumentari; abo- lire temporaneamente tasse locali; premere alla Corte d'Appello per la reiezione reclami contro elenchi definitivi degli elettori... Eccetera, eccetera.
- Il resto, alle urne!

- E di D'Auria, - domandò Ingordo, - che ne facciamo?
Nessuno rispose: Laspina, irritato dal silenzio dello zio-sindaco, si tappò le narici, con l'abituale gesto che le chiudeva a valvola, tra l'indice e il pollice, e si mise a scaricare malumore a scoppio.
Ma Spalledilegno pareva preso da un gorgo di pensieri e rimaneva muto e con gli occhi vitrei.
Si vedeva improvvisamente specchiato nella coscienza delle proprie colpe: e poichè poteva numerarle tutte, nitidamente, gli pareva di entrare, per tanta chiarezza, nell'orbita della gioia: una gioia sua, che sorrideva, sì, nell'odio: ma che tuttavia cercava, con incerto desiderio di far bene, una promessa di felicità.
Ecco: egli aveva, dunque, lo stesso scopo della vita: spigolare un po' di felicità anche dal male. Chi poteva dire dov'era l'ingiustizia e dove la giustizia? Laspina cercava il suo posto nel mondo: e c'era Sénia, la sua fidanzata, che aspettava... Chi è vecchio si faccia di lato...
Tuttavia quel don Marco! Se lo avesse visto curvo, ai suoi piedi, chissà!
L'idea di vincerlo con la prepotenza lo balzò nel suo mondo vero, fatto di orgoglio: i suoi occhi divennero meno lucenti; poi addirittura opachi, senza spazio, freddissimi. Li piantò in faccia al Maccabéo e gli disse:
- Dopo le elezioni, se sbaglia, paga.

E intanto pensava: «tutto ciò che accade è indispensabile ».

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