Aidone - Chiesa e convento di Sant'Anna

Chiesa e chiostro di Sant'Anna anni 60

(In questa foto degli inizi degli anni 60 o fine anni 50 ci sono ancora le mura perimetrali e i magnfici pini) 

AIDONE ITINERARIO FRANCESCANO

RUDERE DI SAN MICHELE 

CHIESA E CONVENTO DEI CAPPUCCINI  - MUSEO ARCHEOLOGICO REGIONALE

BREVE STORIA

Sappiamo da Pietro Tognoletto* che nel 1623 viene  completata la costruzione del convento di Santa Maria di Gesù degli Osservanti, attaccato alla chiesa di Sant’Anna. Certamente la chiesa intitolata a Sant’Anna esisteva già; una data incisa appena dietro il portone di ingresso la fa risalire almeno ad un secolo prima: infatti sopra e sotto una nicchia ci sono le date 1530 – 1611. All'ingresso della chiesa c'è un'acquasantiera di scuola gaginiana che potrebbe appartenere a questa epoca. La presenza degli Osservanti  ci viene testimoniata dalla notizia, confermata da un atto del notaio Bulzè, che nel 1635 fu portata, da Roma in Aidone, da Padre Pietro degli Osservanti una reliquia di San Leone II, il Papa aidonese. La reliquia sarà poi donata alla antica chiesa di San Leone.

Con la riforma francescana nel 1640 entrarono i Padri Riformati e probabilmente allora la chiesa venne dedicata a Santa Rosalia. La costruzione del convento e i restauri della chiesa annoverano nel tempo numerosi numerosi benefattori, tra essi il il Marchese di Raddusa che donò ai frati la “Selva”, Gianfilippo Calcagno che nel 1647 fece un cospicuo donativo da spendersi nella chiesa, il Barone, di Fargione e del Baccarato, Iaci, e Joseph Savina. Quest'ultimo, di cui non si hanno notizie, è ricordato in una lapide funeraria e nel timpano dell’altare maggiore con la data 1655; è a questo periodo che risale certamente l’aspetto della chiesa come la vediamo ora, con i due altari gemelli. É probabile che l’altare principale sia stato restaurato per dare una collocazione degna al Crocifisso che Fra Umile scolpì intorno al 1630. Contemporaneamente viene costruito un altro altare uguale e prezioso, nella forma se non nei materiali, per ospitare la tela di Sant’Anna con san Gioacchino e la Sacra famiglia, attribuita a Pietro Novelli. Questo, probabilmente ci conferma che la chiesa viene di nuovo intitolata a Sant’Anna. Agli stessi anni risale il prezioso "casserizio", l'armadio della sacrestia in fine intarsio scolpito da Fra' Cherubino Correnti, aidonese, della scuola di Fra' Innocenzo da Petralia, autore, probabilmente, anche delle cornici dei tre quadri sugli altari laterali, e il quadro detto di San Pasquale. La chiesa tra il XVIII secolo e la prima metà del XIX viene arricchita con altre opere: i quadri dell’Immacolata con il filosofo Duns Scoto, dell’Assunzione, e della Madonna che concede l’Indulgenza a San Francesco e per ultima la tela di San Francesco di Paola e la Via Crucis. Queste grandi tele, di autori sconosciuti, ci raccontano l’approccio dei Padri Riformati ai grandi dogmi della fede mariana e l’esigenza didascalica nella scelta delle stesse opere. Molto diverso da quello dei padri Cappuccini della chiesa di san Francesco che, dedicando gli altari minori ai santi frati cappuccini, proponevano degli esempi di vita. 

* Pietro Tognoletto "Paradisi Serafico del Regno di Sicilia. Palermo 1687- Al suo interno una biografia di Francescp Pintorno alias frate Umile da Petralia.

Aidone Sant'Anna 1923

Quando interviene la legge di soppressione dei conventi, emanata dal nuovo Regno d'Italia nel 1866, il convento aveva 15 frati che furono costretti ad abbandonare il convento, si dice, indossando abiti del clero secolare. Il convento fu venduto all’asta per un prezzo di molto inferiore al suo valore (sembra che fosse stato stimato 14.000 onze, ma che sia stato venduto e comperato per 60 onze, da pagare in 18 anni). I nuovi proprietari lo smantellarono privandolo anche del tetto. Sembra che tutto il materiale edilizio recuperato, comprese le eleganti colonne del portico (Il portico era tutto colonnato, oggi restano solo quelle del lato ovest), siano serviti ai nuovi proprietari per costruire e abbellire le case di campagna. I nobili aidonesi dei secoli precedenti avevano contribuito alla sua fondazione, i nuovi  "nobili" lo vandalizzarono (nella foto come appariva nel 1923). Il Comune completò l'opera demolendo l'ultimo muro rimasto in piedi, per dare spazio al campo sportivo e, per fare posto alle Case Popolari, consentì la distruzione per intero del magnifico bosco, la Selva". Gli anni sessanta cambiarono completamente il paesaggio e intanto il paese si era esteso e il quartiere di san Giovanni si allargava alla chiesa di Sant'Anna. 

La Chiesa, affidata al comune, continuò ad essere frequentata perché è stata sempre grande la devozione degli aidonesi al “Crocifisso di Sant’Anna”; era tradizione donare l'olio che teneva accesa sempre la lampada davanti al Crocifisso. Affollatissimi erano i cosiddetti venerdì di marzo, quando, nel primo pomeriggio di tutti i venerdì di quaresima, veniva fatta la Via Crucis, il momento più emozionante era quello della scopertura del Crocifisso di Fra Umile che in genere era coperto da un telo, dipinto a sua volta. Quello che vediamo fu dipinto negli anni sessanta dalla pittrice aidonese Anna Casserino.  Agli anni 80 del Novecento risalgono i restauri dei monumento e della chiesa medesima.

Sant'Anna - Altare maggiore

LA CHIESA

L’interno della chiesa è ad aula unica senza cappelle, ma con due altari, oltre all’altare maggiore, e due nicchie. L’altare maggiore è tutto realizzato con tarsie marmoree bianche e nere, in un sobrio stile barocco, che potremmo dire classico nelle linee architettoniche. Il frontone spezzato delimita lo stemma gentilizio a tutto tondo di Joseph Savina con la data 1655. Il Savina, che è citato anche nel frontone dell’altare gemello di sant’Anna e in una lapide funeraria, è il benefattore o l’architetto? Non si hanno sue notizie, stranamente non è citato nelle poche fonti storiche che parlano della chiesa. L’altare fu costruito certamente per dare una degna sede al meraviglioso Crocifisso che Frate Umile da Petralia (1600-1639) aveva scolpito, probabilmente, intorno al 1630. Il 1655 potrebbe essere la data dell’intronizzazione. Il nostro è uno degli oltre trenta crocifissi policromi che frate Umile scolpì nelle chiese siciliane. Gli studi più recenti hanno proposto la datazione ai primi anni 30 del 1600, collocandolo tra i lavori della maturità. Lo testimonierebbe la sua bellezza, la serenità quasi classica delle forme e delle espressioni, nonché l’abbandono dei particolari a volte perfino cruenti dei crocifissi della prima fase. La bellezza, la perfezione, la percezione di vedere tre espressioni differenti nel suo volto hanno fatto nascere una leggenda sulla sua origine, quasi fosse impossibile per un essere umano arrivare a tanta perfezione. La leggenda ripresa dallo scrittore locale, Ettore Capra può leggersi in forma sintetica in questa pagina dove viene approfonita anche la figura dello scultore. La leggenda del Cristo di San'Anna di Fra Umile da Petralia tratta da "Leggende paesane"  di Ettore Capra. 1906

Sul lato sinistro dell’altare c’è una grande tela che rappresenta San Francesco di Paola mentre ridà la vista ad un bambino, sul lato destro un quadro dell'Immacolata proveniente dalla chiesa di San Giovanni. 

Aidone quadro di Sant'Anna

QUADRI E STATUE

Il secondo altare è quello dedicato a Sant’Anna, san Gioacchino e la Sacra Famiglia. Il quadro è certamente secentesco e lo si attribuisce a Pietro Novelli, il Monrealese (1603-1647). A dare forza a questa ipotesi ci sono i caratteri pittorici e il soggetto tipici del Monrealese e della sua bottega e la rappresentazione nell’angolo destro in basso di un gentiluomo in abiti secenteschi che assomiglia moltissimo al ritratto che accompagna una sua biografia*. In verità a me è sempre piaciuto pensare che questo fosse il ritratto del Savina, l’autore o finanziatore dei due altari. La peculiarità sta comunque nell’altare medesimo gemello dell’altare maggiore. C’è una sola differenza, il primo è di tarsie di marmo qua invece le tarsie sono dipinte sullo stucco con accorgimenti che imitano perfettamente l’intarsio; il frontone racchiude anch’esso uno stemma di Savina dipinto che rappresenta un leone (?) rampante come quello che ritroviamo anche in una delle lapidi conservate nella chiesa. Sappiamo che nella bottega dei Novelli ci si era specializzati nel finto intarsio e finto marmo, quindi è un caso che sia il quadro che l’altare in qualche modo ci riportano a Pietro Novelli e ai suoi collaboratori? Quando alla tela c'è una certa geometria nello sguardo dei tre personaggi, i nonni e Giuseppe, che posano  lo sguardo sul Bambinello con dolcezza e compiacimento, formando un triangolo. Sant'Anna offre al Bambino delle ciliegie, un frutto che nel tempo ha simboleggiato il cuore e la passione, l’amore del Cristo e del suo sangue versato sulla croce. Il Bambino che ha lo sguardo rivolto a sinistra, verso il Tabernacolo o il Crocifisso, sembra volere sfuggire alle braccia della Madre per andare verso l'altare. Maria, a sua volta è il centro della scena, l'unica a guardare verso lo spettatore con uno sguardo infinitamente dolce. Entrambi sono illuminati mentre gli altri personaggi restano un po' in ombra. Questo gioco di luci ed ombre ci ricorda le frequentazioni di Novelli con i pittori fiamminghi e con Caravaggio. 

L'Assunzione con San Bonaventura da Bagnoreggio, San Tommaso d'Acquino e San Pasquale Baylon. Segue la nicchia dove è esposto un bel quadro secentesco; dall’iscrizione in calce apprendiamo che è rappresentato san Pasquale Baylon. É uno dei quadri più antichi, secentesco come secentesca è la cornice; vi è rappresentato un santo in paramenti vescovili, probablmente San Bonaventura da Bagnoreggio, accompagnato da un santo Francescano, san Pasquale Baylon, come ci dice la didascalia (?) e da san Tommaso d'Aquino (probabilmente!), mentre ammirano la gloria della Madonna Assunta in cielo. In secondo piano una figura regge il baculum pastorale, attributo di vescovi ed abati. L'unico santo francescano rappresentato con paramenti vescovili è San Bonaventura da Bagnoreggio (1217-1274) il Doctor Seraphicus, considerato uno dei maggiori biografi di San Francesco di Assisi, dal 1257 al 1274 ministro generale dell'Ordine francescano, nel 1273 fu consacrato da Papa Gregorio X Vescovo e    Cardinale. Bonaventura, amico di San Tommaso D'Aquino, è considerato uno dei  maggiori pensatori della tradizione francescana, che, anche grazie a lui, si avviò a diventare una vera e propria scuola di pensiero, sia dal punto di vista teologico che da quello filosofico. Entrambi Dottori della Chiesa! Una curiosità: san Bonaventura appoggia la mano sul libro, con cui viene sempre rappresentato, accanto al quale ci sono tre palline che, gruarda caso troviamo anche sullo stemma marmoreo che sovrasta l'altare centrale e ricorda il beneffattore Joseph Savina! Quindi anche questo quadro è stato prodotto su sua commissione come i due altari gemelli! Ma chi è Joseph Savina? Negli atti dsponibili non ce n'è traccia! Di suo ci resta anche la lapide funeraria che riprende inciso lo stemma suddetto e la data della morte, il 1655, la stessa dello stemma dell'altare centrale. Nell'altare di Sant'anna ed in un'altra lapide invece lo stemma rappresenta un leone rampante che si appoggia forse ad una palmetta.

Davanti al quadro c'è una statua di San Francesco di Assisi, anch'essa probabilmente secentesca o settecentesca.

Aidone Chiesa di Sant'Anna - San pasquale Baylon

San Pasquale Baylon. A proposito di San Pasquale Baylon (1540-1592). In effetti c'è un quadro più piccolo, anch'esso secentesco, posto quasi di fronte, che rappresenta il santo, nella classica iconografia, in abiti francescani, mentre adora l’Eucarestia, accompagnato dalle pecore per ricordare la sua gioventù passata presso un allevatore. Il giovane spagnolo entrò nell’ordine dei frati minori alcantarini (la congregazione appartenente alla Riforma di San Pietro di Alcantara) e pur essendo illetterato, nell’Europa delle guerre di religione suscitate dalla riforma protestante, seppe difendere con forza e a rischio della propria vita l’Eucarestia, con la convinzione della reale presenza di Gesù Cristo nell’Eucarestia ed il potere divino trasmesso al Papa. IL 

L'indulgenza plenaria francescana. Nella parte opposta vi è una nicchia come la precedente, non sappiamo se conteneva un altare poi rimosso. Oggi alla base vi sono alcune lapidi in cui si riconosce lo stemma di Savina e la lapide che copriva, forse, la sua tomba con una iscrizione ben leggibile. Il quadro qui venerato è quello della Madonna che elargisce l’Indulgenza Plenaria. Nella grande tela, secentesca o al massimo attribuibile al primo Settecento, di autore sconosciuto, si ricorda la tradizione francescana del Perdono di Assisi ricordata anche come l'indulgenza della Porziuncola.  In primo piano c'è san Francesco e dietro altri Santi Francescani tra i quali forse san Bernadino da Siena che regge lo stendardo, a destra sono rappresentate tre Sante: S. Chiara in primo piano, riconoscibile dall'Ostensiorio che impugna, S. Rosalia -non dimentichiamo che la chiesa le era intitolata- e dietro, forse, Santa Elisabetta di Ungheria rappresentata con la corona regale e la palma del martirio. In alto un angelo porge sulla testa della Madonna una corona, un altro tiene in mano un vassoio da cui sporgono dei nodi, alcuni sciolti altri legati a cappio; il riferimento è forse al culto di Maria che scioglie i nodi che nacque in Germania intorno al 700 e che ben presto si diffuse in tutta Europa?

Maria Immacolata e Duns Scoto

Immacolarta Concezione con Dus Scoto. Segue l’altare dell’Immacolata Concezione e Giovanni Duns Scoto. La Vergine Maria Immacolata è rappresentata nella gloria di Dio e degli Angeli; è incoronata da dodici stelle e sormontata da Dio Padre e dallo Spirito Santo in forma di colomba. Tutti i personaggi, tranne l'angioletto nell'angolo inferiore di destra, hanno lo sguardo rivolto verso Maria.  Ai suoi piedi c’è il frate francescano Giovanni Duns Scoto (1265-1308), il grande filosofo scozzese, chiamato anche il Dottor Sottile, che affermò il dogma dell’Immacolata Concezione. Nel quadro viene rappresentato mentre scrive il sillogismo, attribuito al suo maestro Guglielmo Ware, “Potuit, decuit ergo fecit” -Dio poteva liberare la Vergine dal peccato originale (potuit); era conveniente che Colei che doveva essere Madre di Dio fosse esente dal peccato originale (decuit), allora Dio lo fece (fecit). Duns Scoto non era un alieno, tradizionalmente l’Ordine dei Frati Minori, a costo di essere tacciato di eresia, sosteneva la convinzione che la Madre di Dio fosse stata concepita senza peccato originale. Duns Scoto per volontà della Santa Sede, si recò all’Università della Sorbona di Parigi, allora roccaforte della tesi “macolista” (coloro che credevano, invece, che anche Maria fosse nata con il peccato originale) per discutere la sua tesi. La disputa si tenne verso la fine del 1307. Si racconta che Scoto passando davanti alla statua di Maria scolpita sul frontespizio della cappella del palazzo reale così si sia rivolto a Lei: “Dignare me laudare te, Virgo sacrata: da mihi virtutem contra hostes tuos” (Degnati, o Vergine benedetta, che io possa degnamente lodarti: dammi la virtù contro i tuoi avversari). La statua piegò la testa in segno di assenso rimanendo in tale posizione. Nel nostro quadro l’Angelo posto di fronte a Duns Scoto srotola una pergamena in cui sono appunto scritte quelle parole. Una curiosità, la causa di beatificazione di Duns Scoto, con alterne vicende, si protrasse per secoli, solo nel 1993 Giovanni Paolo II lo proclamò beato definendolo “dottore dell’Immacolata”.

San Francesco di Paola dei Fratelli Vaccaro - 1845

Nel quadro di san Francesco di Paola oltre alla data, 1845, in calce c'è scritto il nome del benefattore che lo donò alla chiesa, il dr. don Franco De Arena, e quello degli autori i Fratelli Vaccaro di Caltagirone. Dietro questo quadro c'è una succosa storia che ci viene raccontata dal Canonico Luciano Palermo (ringrazio Vincenzo Impellizzieri per avermela mostrata). Al suo posto si trovava un quadro secentesco di San Michele Arcangelo portato qui dopo la sopressione del convento dei conventuali e la chiusura della chiesa di San Michele:

“Il Quadro di S. Michele Arcangelo fu portato nella chiesa dei PP. Riformati, detto S. Anna, e fu posto nel primo altare a mano sinistra all’entrare la chiesa, e siccome in esso quadro sotto i piedi del Santo vi era dipinta la fiera mostruosità del Diavolo, una donna gravida, di cognome Scivoli intesa Caudara, nel sgravo fece un ragazzo nella stessa forma del Diavolo; quantoché lo fecero morire e subito fecero cancellare la troppo mostruosità del Demonio. Trovandosi in qualità di Sindaco Apostolico di detto convento inteso S. Anna il Dr. Don Franco D’Arena a sue spese fece fare dai Fratelli Vaccaro di Caltagirone l’attuale quadro di S. Francesco di Paola, e lo posero nell’altare di S. Michele ed il quadro di S. Michele adesso è posto nel cappellone in Corno Evangelo vicino all’Altare Maggiore”

LA VIA CRUCIS

I quattordici quadretti della Via Crucis furono inaugurati nel 1825, la fattura è forse di frate Bernadino di Piazza. Furono realizzati con il concorso finanziario di  molti notabili aidonesi ricordati in calce negli stessi quadretti. Ricorre il nome dei Cordova, Minolfi, Gioieni. Lo stile è un naif antelitteram, le figure sono abbastanza schematiche niente di paragonabile al livello degli altri quadri, in modo particolare al quasi coevo San Francesco di Paola dei fratelli Vaccaro. 

Tra i due quadretti della Via Crucis è compreso il quadro in cui, come ci dice la didascalia, è rappresentato San Francesco il Serafico secondo la tela raffigurata in Vaticano. Anche questo come quello di San Pasquale sarebbero secenteschi.

TOMBE E LAPIDI

Nella chiesa di Sant’Anna, come in quelle di San Lorenzo e di San Leone, troneggiano dei monumenti funerari dove riposano degli aidonesi illustri. Le tombe a pavimento ricoperte da lapidi marmoree furono smantellate negli anni settanta del novecento, se ne conservano alcune visibili sotto il quadro dell'Indulgenza Plenaria. Si conservano due monumenti funebri e due lapidi abbastanza recenti. Non dimentichiamo che l’editto di Saint Cloud, che sanciva il divieto delle sepolture nelle chiese e nei centri abitati è del 1804. Nel regno di Napoli e di Sicilia si dovette aspettare il 1839 per avere una legge che imponesse ai comuni la costruzione di cimiteri, per porre fine allo sconcio delle tombe/fosse comuni che si trovavano addirittura dentro le chiese, con il puzzo che possiamo immaginare, ma anche per impedire le sepolture dei notabili all’interno delle chiese. Ma visto che i comuni tardavano a dotarsi di cimiteri pubblici fu permesso che si continuassero a seppellire nelle chiese gli appartenenti al clero e alla nobiltà. Si spiega così il fatto che ancora nel 1878 si potesse fare un monumento funebre nella chiesa di Sant’Anna. Sto parlando di quello del dr. Vincenzo D’Arena Boscarini nato nel 1782 e morto nel 1878, sindaco di Aidone dal 1826 al 1828. Tutto in marmo bianco iI monumento è sovrastato da un bel busto marmoreo. Di fronte c’è la tomba della moglie Vittoria Cordova (Aidone 1793-1855). In entrambe le tombe leggiamo il nome della figlia Paolina moglie di Rocco Camerata Scovazzo. Dopo la tomba del De Arena una lapide ricorda un bambino morto a pochi mesi, Franco De Arena;  l’altra lapide all’ingresso appartiene a Giuseppe Capra. Tra le lapidi smantellate, abbandonate e recuperate c’è quella di Joseph Savina, lo stesso degli altari, che porta la scritta “IOSEPH SAVINA DUM ASTREE LANCEM LIBRARET, QUI HIC EXTREME TUBE, CLANGOREM EXPECTAT,VERBO CRUCI EXTINCTO SACELLUM HOC P.D.1655.

Il privilegio di riposare in una chiesa era meritato oltre che con una vita esemplare anche e soprattutto con ricchi donativi fatti da questi benefattori. Sembra che tra le tombe distrutte ce ne fossero parecchie di appartenenti alla famiglia Cordova, questo cognome come primo o secondo appartiene a molti notabili aidonesi, tra i più importanti Filippo Cordova e Vincenzo Cordova Savina. Anche in gran parte dei quadretti della Via Crucis leggiamo che furono dono di un Cordova.

LA SACRESTIA

Vi si accedeva direttamante dalla chiesa, dalla porta posta alla destra dell'altare maggiore. La parete occidentale era ed è occuppata da un grande armadio intarsiato,  il prezioso "casserizio" (XVII secolo), finemente  scolpito ed intarsiato. Opera di fra Cherubino Correnti, il frate aidonese della scuola di Fra' Innocenzo da Petralia.  Sulla parete di mezzogiorno in una nicchia è incastonato un elegante lavabo marmoreo dalle linee baroccheggianti.

Aidone _chiostro di Sant'Anna

IL CHIOSTRO

Del chiostro si è parlato nella paragrafo sulla storia della chiesa e del convento, di come il convento a seguito delle leggi di sopressione dei conventi (1867), fu svenduto e smantellato. Quello che vediamo nella foto è quanto resta, cioè solo il lato adiacente alla Chiesa. Se ne indovina la luminosità e l'eleganza, che viene accentuata dall'uso delle colonnine sottili  di pietra arenaria locale, in stile misto. Al centro del cortile è visibile ancora il pozzo che riforniva il convento. 

Il Cristo di Frate Umile tra realtà e leggenda

Aidone particolare del Crocifisso di Fra Umile da Petralia

La bellezza drammatica, e nel frattempo dolce ed elegante del nostro Crocifisso, uno degli oltre trenta scolpiti da Fra Umile da Petralia, ha fatto nascere la leggenda che solo la mano divina* potesse esprimere tanta bellezza, mistero, dolore e serenità. In effetti la tradizione dell’origine miracolistica di molti dei crocifissi di Fra Umile fu in qualche modo incoraggiata dagli stessi Francescani. Tutto in quest’opera d'arte riconduce al contesto storico, religioso e artistico in cui lavora lo scultore: i canoni della Controriforma e la dominazione spagnola, l’obbiettivo di riportare alla fede grandi fette della popolazione del meridione d’Italia a lungo trascurata, il barocco imperante che nel tripudio di forme e colori si esercita su un realismo fino ad allora sconosciuto che, unito alla necessità di creare patos e partecipazione, indugia, nei Crocifissi e negli Ecce Homo, sulle ferite, il sangue colante, le rappresentazioni della flagellazione.

Fra Umile, al secolo Francesco Giovanni Pintorno, nacque a Petralia Soprana nei primi anni del 1600 e morì a Palermo il 9 febbraio 1639. E' sepolto nella Chiesa di Sant’Antonio da Padova dove aveva scolpito l’unico crocifisso presente a Palermo. Nello stesso convento era entrato, nel 1623, nell’ordine dei Frati Minori Osservanti, ma per tutta la sua breve vita continuò a fare il mestiere di scultore del legno, imparato nella bottega del padre e perfezionato nelle botteghe della capitale siciliana. Dedicò la sua vita alla preghiera, alla penitenza e al digiuno e all’arte così amata. Lo si pone a capo di una scuola di scultori che fiorì nei conventi francescani, e soprattutto tra quelli che produssero i crocifissi policromi. Tra loro il suo compaesano fra Innocenzo da Petralia, che portò la sua arte anche nell’Italia centrale e lasciò tracce anche nel convento aidonese. Opera sua sarebbe il magnifico casserizio conservato nella sacrestia di Sant’Anna.

Mi fermo qui con questi brevi cenni biografici su frate Umile, che vagava da un convento all’altro della Sicilia e della Calabria dove veniva richiesta la sua opera. Li realizzava in loco, in pochi giorni, dopo ore e ore passate in ginocchio nella preghiera e nella meditazione.

Ettore Capra coglie le suggestioni delle tante leggende fiorite intorno alla sua vita e alle sue opere e si concede la licenza poetica di farlo morire in Aidone, dove arriva stremato dalla febbre dovuta  alla tisi. Il nostro Crocifisso, così, sarebbe il frutto della sua ultima fatica e forse per questo il più prezioso. Avrete modo di constatare le grandi libertà che egli si è preso al limite dell’inverosimile. Ma tutto si concede all’autore che vuole suscitare nel suo letttore contemporaneamente meraviglia e compassione!

Sì, modestamente, noi aidonesi siamo stati sempre convinti fermamente del fatto che questo sia il più bello. Senza forse avere mai visto gli altri! Altrettanto immodestamente io, che abbraccio campanilisticamente questa tesi, avendone visto alcuni, mi permetto di ipotizzare che il Nostro può sembrare un’opera più matura rispetto agli altri, un’opera in cui lo scultore non ritiene più necessario puntare sull’enfasi del macrabro che caratterizza alcuni di essi, ma si concentra sulla gioia dell’opera compiuta dal Salvatore sulla terra. È fiorita la leggenda delle tre espressioni. Il volto di Cristo cambia espressione secondo la prospettiva da cui si guarda: esprimendo volta a volta il dolore dell’agonia, un sorriso rassicurante e la serenità di chi torna tra le braccia del padre!

* c'è un termine antico per indicare questo fenomeno, acheropita, non fatto da mano umana e si ricollega ad una tradizione antichissima, presente nei primi secoli soprattutto in ambito orientale e poi bizantino ma arriva fino ai secoli più recenti. Il termine deriva dal greco bizantino  "Acheropita" o "achiropita", ἀχειροποίητα ("ἀ-" privativo + "χείρo-" = mano + un der. di "ποιείν" = fare, produrre), significa "non fatto da mano (umana).