LA CHIESA DEI CAPPUCCINI e IL MISTERO DELLA CRIPTA

La chiesa dei Cappuccini in Aidone – Un esempio originale di architettura cappuccina

AIDONE - CHIESA E CONVENTO DEI CAPPUCCINI 1612

La chiesa di San Francesco di Assisi per gli Aidonesi è stata da sempre la chiesa dei Cappuccini, oggi insieme al convento è la sede del Museo Archeologico Regionale, ma, nell’immaginario collettivo, si è ammantata di un’aurea di mistero. La presenza della cripta cimiteriale dei frati, mai aperta alla curiosità di visitatori come le altre più conosciute, ne ha fatto il crocevia di una leggendaria strada sotterranea che avrebbe collegato i vari conventi aidonesi, da Santa Caterina a San Michele, passandovi sotto, fino al convento dei Padri Osservanti/Riformati di Sant’Anna. Una galleria che piaceva immaginare coperta di cadaverini, e una cripta piena dei cadaveri dei frati ad essiccare; una favola buona a spaventare i ragazzini e tenerli lontani quando la chiesa, negli anni sessanta del secolo scorso, venne abbandonata.

Noi che frequentavamo la scuola elementare al Torres Truppia ne serbiamo il ricordo, insieme bello e spaventoso, di quando ragazzini ci si introduceva di soppiatto, pronti a fuggire spaventati alla vista del braccio che sporgeva dal pulpito, dal volo di qualche colombo o pipistrello disturbato dai nostri movimenti, inseguiti dai fantasmi dei frati sepolti nella cripta.

Non è più una chiesa consacrata, oggi è l’auditorium del Museo, ma ogni volta che vi entro, invece, non posso impedirmi di provare un sentimento religioso di vicinanza al sacro e di coinvolgimento emotivo, sensazione che mi accompagna ancora nelle salette in cui sono custoditi gli acroliti delle dee, la testa di Ade, la gigantesca dea di Morgantina, tutti tornati a casa da un lungo viaggio nel tempo e nello spazio e che, immagino certamente, illuminassero di sacralità gli anditi in cui erano venerati.

La mia curiosità di conoscere meglio i Cappuccini e la storia della loro presenza in Aidone è cresciuta con le visita di altre chiese cappuccine e la “scoperta” che come diceva Manzoni “Tutte le chiese e i conventi dei cappuccini avevano come una fisionomia speciale, e chi ne aveva veduta una ne avrebbe riconosciuto un altro a prima vista” 

La nostra chiesa, che almeno dalla partenza degli ultimi frati, non ha subito miglioramenti, restauri, adattamenti di nessun genere, si è conservata nello stile originale, quale era stato voluto dalle varie Costituzioni che si erano susseguite nel tempo per determinare “i criteri costruttivi funzionali alla Regola, agli usi e alla spiritualità dell’Ordine”. Li ritrovo tutti non solo nella nostra chiesa ma anche nel convento annesso; le modeste dimensioni, relative ad un piccolo paese, la rendono semmai più autentica e vicina allo spirito francescano, espresso nell’uso di materiali poveri, nella semplicità delle strutture, nell’assenza di finiture pregiate e nella valorizzazione di qualunque materiale, soprattutto di quelli che oggi diremmo a km 0.

(Citazioni da: Emanuela Grimaldi “Il cantico della vil materia . Le chiese cappuccine costruite nello stile dell’ordine” 

CHIESA Dei Cappuccini: simbolo francescano sul soffitto del nartece

La chiesa si presenta a pianta rettangolare, a navata unica; l’ingresso è preceduto dal nartece, con il soffitto ribassato in corrispondenza del coro, decorato, in affresco, semplicemente con simbolo francescano delle braccia incrociate alla base della Croce, dei due uno è nudo e uno rivestito del saio (lo stesso simbolo è riportato anche nel pavimento maiolicato della prima cappella, quella dell’Ecce Homo). Il pavimento è in cotto rustico intercalato da mattonelle smaltate.

L’occhio dell’entrante va direttamente all’altare centrale, occupato in tutta la parete da un trittico di tele incorniciate da elementi architettonici di legno finemente intarsiato; nella pala centrale, sovrastante per dimensione le due laterali, è raffigurata una commovente Natività a cui assistono i cori angelici, opera del pittore Nicolaus Garamonolus (1625). Nel dipinto di sinistra è raffigurato probabilmente il padre cappuccino Lorenzo da Brindisi (1559-1619) morto in odore di santità, in quello di destra Sant’Antonio di Padova. Il frontone centrale è dipinto alla maniera del tromp-l’oeil, lo stesso effetto illusionistico si è cercato di riprodurre nelle cornici delle due porte murate, poste in basso ai lati dell’altare ligneo. Tutto l’altare rispetta la regola francescana nel prediligere l’uso di materiale povero, il legno, ad esempio, nella cui lavorazione i frati diventarono grandi maestri.

(Cit. Angelo Varisano “Il convento dei Frati Cappuccini e l’attigua chiesa di San Francesco in Aidone in “Muso Archeologico di Aidone – Catalogo” Ass.to Regionale BB. CC. AA. e PI a cura di Carmela Bonanno 2008)

Originalissimo il paliotto in cuoio, impreziosito dalla colorazione di base in oro scuro, con decorazioni floreali stilizzati che incorniciano la figura di San Giovanni Evangelista mentre compone l’Apocalisse.

In perfetto canone cappuccino il prezioso ciborio dalle caratteristiche linee architettoniche che richiamano le grandiose basiliche barocche; è sormontato dalla cupola a bulbo, su cui converge la luce del sole proveniente dall’unica finestra della facciata principale. La ricchezza degli elementi architettonici, di quelli decorativi ad intarsio, la presenza di statue, di cui pur non si conserva traccia, ne fanno un vero capolavoro, impreziosito dall’immagine del Cristo benedicente dipinta su vetro che decora la porta del Santissimo. Il tabernacolo ligneo alla cappuccina, vero tempio nel tempio, nel suo sviluppo verticale rappresentava “l’attivismo ascetico” in contrapposizione all’orizzontalità delle linee dell’aula che suggeriscono “la quiete della contemplazione”. “Come testimoniano le disposizioni in merito all’arredo sacro, il tabernacolo e le suppellettili, strettamente connesse al Sacramento dell’Eucarestia, erano gli unici manufatti per i quali si derogava al divieto della preziosità delle cose”  cit. Grimaldi, articolo citato

CHIESA DI SAN FRANCESCO

Il presbiterio è separato dall’assemblea dalla tipica cancellata in legno, più alta della generalità delle chiese cattoliche. Il pulpito anch’esso di legno di forma rettangolare è affiancato da una grande lanterna, dal suo parapetto sporge il famigerato braccio che reggeva probabilmente una fiaccola. Le pareti laterali del presbiterio accolgono la tela di un santo frate sopra quello che sembrerebbe un piccolo tabernacolo e, di fronte, la tela del Bambinello in braccio a san Giuseppe mentre Maria appare nelle sembianze dell’Assunta che guarda il Figlioletto da un tappeto di nuvole, accompagnata da una schiera di Angeli.

Sulla parte sinistra sono ricavate delle nicchie con gli altari di legno intarsiato e decorazione di finto marmo, vi sono venerati, nella prima, San Giuseppe con il Bambino per mano, la nicchia è sormontata da un medaglione in cui è dipinta, probabilmente, la beata Lucia di Caltagirone (visse nella seconda metà del XIV secolo, il suo culto fu confermato agli inizi del ‘500 da Papa Leone X), negli altri altari sono una giovane santa e un frate francescano. Sulla parete sinistra si aprono due cappelle laterali, nella prima (oggi sede della biglietteria), su un ricco altare barocco, si venera una statua lignea di Madonna con Bambino e un busto, anch’esso ligneo dell’Ecce Homo nello stile di quelli di frate Umile. La seconda cappella ha sull’altare un crocefisso alla maniera di Frate Umile, incastonato su un ricco reliquiario, nel suo ingresso da una scala a vista c’è l’accesso alla cripta. Lungo la stessa parete c’è un altare ligneo dedicato a San Francesco, il Santo regge con la mano sinistra il libro della Regola ed ha la testa quasi coperta dalla conchiglia del pellegrino.

L’altare è sormontato da un medaglione in cui viene rappresentata probabilmente la regina Eleonora d’Angiò, era conosciuta la sua devozione al santo di Assisi in onore del quale aveva fatto costruire a Catania la chiesa omonima, dove fu poi sepolta e rappresentata in vesti francescane insieme a Santa Chiara. Nel medaglione i personaggi sono tre, una dama sistema a terra lo scettro e la corona deposte dalla regina, mentre alla sua destra un’altra dama porge alla regina, inginocchiata davanti al Crocefisso, il saio ed cordone.

Tornando alle linee architettoniche, la copertura della chiesa è a capanna, ma all’interno è decorata con un elegante motivo di stucchi. I volumi interni squadrati e semplici rispecchiano esattamente l’esterno dalla facciata, questa è in pietra, in opus incertum, appena delineato dai conci squadrati dei cantonali e dei portali. Il portale squadrato e disadorno è sormontato dalla finestra, dalla quale entra la luce che illumina direttamente il Tabernacolo, nel contempo luce fisica e spirituale che indica la strada della salvezza.

Il convento fu edificato per decisione del Capitolo di Mineo, celebrato il 16 gennaio 1611, venne individuata l’area “in un luogo sorridente del paese, che prospetta a mezzogiorno e gode da tutti i lati di un ampio orizzonte” . “La costruzione fu iniziata lo stesso anno e, nel 1613, la fabbrica fu ampliata e completata dal primo presidente, padre Gregorio da Castrogiovanni, che vi insediò la comunità e ne diventò anche il primo padre Guardiano. Insieme al convento fu edificata la chiesa che venne intitolata al patrono San Francesco come risulta dall’iscrizione – D.O.M. Haec domus sanctae Dei Matri est constructa superni et Francisce tibi convenit iste locus 1612”

Un’iscrizione dipinta sul timpano dell’altare centrale, al centro del finto frontone spezzato, riporta la data del 1831 che chiude la frase “Deus in Dominus Tjus cognoscetu...1831”. È presumibile che a quella data risalgano i restauri e le aggiunte degli elementi baroccheggianti del soffitto e delle cappelle laterali (l’ipotesi è mia). I frati furono costretti ad abbandonare il convento a seguito delle leggi (1866-1867) di soppressione degli enti religiosi e dell’incameramento del loro patrimonio al demanio. Ceduto al comune, il convento fu utilizzato come orfanotrofio e come asilo, la chiesa invece rimase aperta al culto fino agli anni 50 del secolo scorso, quando fu sconsacrata ed abbandonata e contata tra i beni del FEC. 

CItazioni da A. Varisano, saggio citato; M.R.P. Samuele da Chiaramonte “Memorie storiche dei frati minori cappuccini della provincia monastica di Siracusa”

NOTA N.1: L'ORFANOTROFIO E L'OPERA PIA TORRES TRUPPIA

Come ci ricorda il toponimo, largo Torres Truppia della piazza antistante il Museo e il Plesso scolastico Torres Truppia, il convento divenne sede di un orfanotrofio, Nel 1843 i coniugi Lorenzo Torres e Maria Minolfi avevano istituito un fideocommisso testamentario, con un legato di 7000 lire,  per la realizzazione di un Orfanotrofio femminile. A questo si unì il lascito testamentario del sacerdote Giuseppe Truppia, nel 1881; per la sua gestione nacque l'Opera Pia Torres-Truppia. Al mantenimento dell'Orfanotrofio contribuirono anche altri lasciti e legati di benefattori aidonesi come gli Scovazzo, i Ranfaldi, Rocco Camerata e Domenico Minolfi. (Gioacchino Mazzola "Storia di Aidone" 1913). L'orfanotrofio era ancora attivo negli anni quaranta del secolo scorso. Dalle memorie degli anziani si ricava che era presente la finestra di una "ruota" degli esposti, di cui non si vede  però traccia nella facciata principale. Gli anziani chiamavano l'orfanotrofio "a battìa".

NOTE DA FACEBOOK

Ho pubblicato questo piccolo saggio su Facebook, com'era prevedibile ci sono stati interventi molto interessanti che voglio qui registrare.

Enza Minoldi, abita atttualmente a Catania ma ha ricordi dell'ultimo periodo della seconda guerra mondiale passato da sfollati in Aidone presso parenti, qui  ha trascorso una buona parte della sua infanzia: "Franca carissima, leggendo la tua pagina sulla chiesa dei Cappuccini ti comunico che i sotterranei del convento SONO veramente pieni di cadaverini e cadaveri di adulti, alcuni, gli adulti, appesi con le catene al collo. Io, irrequieta scolara della seconda media, durante una passeggiata scolastica (ai miei tempi era d'uso settimanalmente) mi sono inoltrata in un anfratto aperto sotto, tra la casa del Signor Fioretto ed il convento, lì ho trovato tanti scheletri e con noncuranza ho preso un teschio, l'ho issato su un ramo ed ho percorso il tratto che da lì mi portava nello spiazzo sottostante il palco della musica. Lascio a te immaginare lo scompiglio che portai fra i ragazzi ed i professori che, alla vista del teschio, incominciarono a correre di qua e di là. Alla fine il professore di matematica (mannaggia mi sfugge il nome,ma lo ricorderò senz'altro) mi tolse la macraba bandiera dalle mani e volle essere accompagnato sul posto del ritrovamento. Vi entrammo e alla luce del suo accendino ci inoltrammo lungo un corridoio. Intanto vedemmo che il luogo era composto da un dedalo di corridoi che andavano a destra ed a sinistra ma, con grande tristezza constatammo che tanti cadaverini uno appresso all'altro e quasi tutti nudi, erano posti su muretti, mentre scheletri di adulti erano appesi, con catene, chi per il collo chi per le braccia. A quella vista il Professore ci fece uscire da lì (lui era il più sconvolto di tutti mentre noi proseguivamo nella nostra incoscienza) invitandoci a NON DIRE NIENTE di ciò che avevamo visto. Dopo anni e da grande, tornando ad Aidone ed andando a vedere se il luogo fosse stato ancora visitabile lo trovai murato. Ho cercato qualche volta di raccontare questa avventura invitando a fare delle ricerche, ma mai alcuno ha voluto prendere in considerazione questo dato reale sulla storia e vita di una parte importante di costume religioso e "sociale" della nostra Aidone. Quanto scritto te lo dedico chissà che assieme non potremo suscitare qualche curiosità in più che in passato. Quando ci vedremo ti rappresenterò fisicamente tutto l'avvenimento. Un caro abbraccio e buona giornata

Io: Carissima Enza, e chi meglio di te poteva arricchire questi ricordi? Grazie, lo inserirò nell'articolo. Ti aggiorno con quello che ho visto. Intanto ai nostri tempi ci faceva più paura il signor Fioretto che i cadaveri... non mi meraviglio che abbiate trovato tanti resti umani, fu usato per secoli dai frati come cimitero, e non credo solo per gli appartenenti all'Ordine. Come abbiamo imparato dalle visite alle altre cripte cappuccine, ci sono prelati, uomini comuni, bambini. Non dimentichiamo che la mortalità infantile era molto alta e spesso le famiglie non erano in grado di dare loro una degna sepoltura (a proposito, il rettore della confraternita dei Massari mi ha mostrato sotto la loro cappella una cripta dove si dava sepoltura ai bambini delle famiglie povere, il loculo spesso era segnato solo da un numero o da un nome, altre volte da nome e cognome). Quando hanno restaurato la chiesa e la cripta, per realizzare il Museo, hanno lasciata aperta solo la prima sala dove si trovavano delle nicchie di esposizione e un piano colatoio. Tutto il resto dei cunicoli, anche per questione di sicurezza, è stato murato, ma niente impedirebbe un domani un progetto per il suo recupero, Ce lo auguriamo. Noi siamo riusciti a vedere la cripta quando i militari americani della base di Sigonella la ripulirono rimuovendo il materiale che vi era stato accatastato. In effetti per anni era stato utilizzato solo come magazzino... se trovo le fotografie e l'articolo che scrissi allora li inserisco

Giusto Oliveri: Ho finito le elementari al Torres Trupia a giugno ‘61 ed anche io sono entrato, presumo, in altra parte della cripta non dal lato villa. Il sig.Fioretto metteva troppa paura. Ho ricordo solo di scheletri per terra e quello che colpiva di più erano i teschi. Credo di aver visto uno di questi,a distanza, sulla scrivania di un mio amico diventato medico.

* il signor Fioretto, più volte citato era il "filarista", il giardiniere custode della Villa, il giardino pubblico aidonese chiamato anche la Costa, 

Angelo Scopazzo "Da piccolo, ricordo che con i compagni, incoscientemente, si entrava nei sotterranei bui, che illuminavamo con le lampadine tascabili rettangolari dove si metteva una pila da 9 volts che avevano le linguette nella parte superiore. Ci avventuravamo in quei cunicoli e gallerie, dove vi erano tanti piccoli scheletri di bambini che sembravano di neonati, talmente erano piccoli. Vi erano molte nicchie con scheletri di persone grandi, stranamente messi all'impiedi.