Il boschetto di sant'Anna

IL BOSCHETTO DI SANT’ANNA

di Pippo Castiglione

C’era una volta… potrebbe iniziare così la storia del Boschetto di Sant’Anna: un luogo dal passato illustre, appena fuori dal paese sulla strada per Catania, a sinistra dopo la curva del Molino di Chiarenza; luogo di nostra frequentazione, meta della banda di Vistapovera in competizione con quella di Sant’Anna.

Era delimitato tutt’attorno da un muretto a secco già mal ridotto, in più punti diroccato. Il confine ad est, fino alla Chiesetta du Signiruzzi, fiancheggiava la scorciatoia che portava verso la miniera del Baccarato, frequentata da chi andava a piedi o in groppa alla sua bestia. A nord invece confinava con il campo sportivo e la strada statale, che gli correva a fianco anche sul lato ovest.

Nel boschetto di Sant’Anna crescevano delle querce ultracentenarie, dal fusto immenso che quattro bambini non riuscivano ad abbracciare; il sottobosco in più punti era invaso da rovi impenetrabili che in buona parte occultavano l’unica costruzione esistente, un manufatto senza infissi, basso, con porta e finestre, seminterrato e terrazzato, forse un casino di caccia o più probabilmente un rifugio per animali. Noi ci andavamo, percorrendo un tunnel tra i rovi, per fare i nostri bisogni, spesso in compagnia, bene allineati lungo le pareti.

Gli unici spazi liberi da macchia invasiva erano quelli attorno al fusto delle grandi querce, certamente accuditi o battuti dal piede umano perché in autunno vi si raccoglievano le ghiande, delle quali i maiali erano ghiotti. Un contadino dei paraggi le pagava un tanto a tumolo ai bambini che gliele portavano in pesanti sacchi e ne ricavavano soldini utili ai bilanci familiari.

Il boschetto, forse antica pertinenza del convento di Sant’Anna, era la nostra giungla, ci consentiva avventure in luoghi selvaggi e inesplorati; c’erano robusti rampicanti - le nostre liane - ai quali ci appendevamo lanciando l’urlo di Tarzan.

In primavera poi andavamo in cerca di asparagi, alle prime piogge autunnali lungo i muretti a secco cercavamo le lumache, d’estate andavamo a caccia di nidi e imparavamo a distinguere i nidi dei merli da quelli dei fringuelli; le uova dei merli sono di colore azzurro maculato, quelle dei fringuelli, più piccole, sono di colore verdastro con macchie violacee. Andavamo a caccia di nidi e quando li scoprivamo li visitavamo ogni giorno stando a debita distanza, senza toccarli mai - se no i serpenti s’imparano la strada - e li mostravamo orgogliosi ai nostri amici quando le uova si schiudevano e dall’orlo si affacciavano i pulcini pigolanti. I cardellini non nidificavano nel boschetto, preferivano le acacie della Villa, protetti dall’occhio vigile della Guardia Margarone che se ci sorprendeva con la fionda ci dava una multa di 251 lire, come capitò a mio fratello uno sfortunato giorno. In famiglia il lutto durò una settimana; il reprobo fu graziato per intercessione della Mamma Rusidda, nostro rifugio nelle ambasce, che sapeva trovare la strada per ammorbidire il cuore della nipote prediletta:

- Ih, Teresì, chi ci voi fari. Carusi suni!

Un’estate il boschetto di Sant’Anna fu invaso da una folla di soldati, una presenza ingombrante che lo sottrasse alle nostre abitudini per tutte le vacanze e sconvolse la fauna del bosco. I militari giunsero con camion e camionette, estirparono il sottobosco, bruciarono gli sterpi, piazzarono le tende, destinarono a deposito il luogo di disbrigo dei nostri affari riservati.

In un ampio spazio, dove si radunavano marciando, fissarono un alto pennone lungo il quale manovrando una cordicella facevano salire e scendere la bandiera tricolore, sempre accompagnati dal un suono di tromba.

Un suono di tromba segnava il risveglio, un altro comandava a sera il silenzio, due suoni di tromba si sentivano all’ora di pranzo: il primo richiamava i soldati sparsi per il paese a occhiare le ragazze, il secondo dava inizio alla distribuzione del rancio. Al primo suono noi avevamo accompagnato dei versi:

Pasta ch’è cotta,

pasta ch’è cotta,

pasta ch’è cotta

vinìti a mangià-à-à-à.

Poi un giorno com’erano venuti i soldati se ne andarono: smontarono l’accampamento, caricarono armi e bagagli e in lunga processione uscirono dal paese. Del loro passaggio restò la nostalgia della tromba e una cantilena che si tramandò per qualche tempo nel paese:

Lera, pistulera

mannaggia a morti

chi ti fa campà,

si voi un chili i pani

centu liri l’ha da pagà.

Ma il destino del boschetto di Sant’Anna era segnato.

Una mattina giunsero maestranze con lunghe seghe a nastro e a una a una abbatterono le grandi querce. Prima asportavano, a 40/50 centimetri dal suolo, una grossa zeppa, poi incominciavano a segare dalla parte opposta; man mano che la lama dentata procedeva facendo avanti e indietro, manovrata da due uomini forzuti contrapposti, un terzo calzava con una mazza dei cunei di ferro nella ferita, altri, posti difronte, tiravano una grossa fune legata sulla sommità. L’albero cominciava ad oscillare, faceva avanti e indietro, poi all’ultimo strattone crollava rovinosamente sotto gli occhi sbigottiti dei bambini.

Dov’era l’ombra, or sé la quercia spande

morta, né più coi turbini tenzona.

 

Proprio come diceva il poeta. A sera poi…

 

Ognuno loda, ognuno taglia. A sera

ognuno col suo grave fascio va.

Nell’aria un pianto… d’una capinera

che cerca il nido che non troverà.

Il mitico Boschetto, luogo fatato, prediletto dai bambini di *Vistapovera, rifugio delle lunghe vacanze estive, veniva distrutto, sacrificato alle Case Popolari.

I paesani fecero la loro parte, lodarono e tagliarono, portarono a casa legna per il lungo inverno aidonese.

Nei giorni che seguirono si provvide a sradicare i grossi ceppi… con le mine. Altri esperti eseguirono l’opera: con una trivella a mano praticavano nel legno dei fori profondi, li ripulivano accuratamente della segatura soffiandoci con una pompetta, li riempivano di polvere da sparo, comprimevano, innestavano una lunga micia, poi l’accendevano e correvano a ripararsi dietro un muretto, quasi a nascondersi per la vergogna.

Distesi per terra sul ciglio del campo sportivo, per giorni assistemmo dall’alto, con le dita nelle orecchie, alle esplosioni che mandavano in frantumi le ceppaie.

Una vera e propria guerra, combattuta dai Pigmei contro i Giganti Buoni.

E la vinsero i Pigmei.

Pippo Castiglione

* Vistapovera è il nome con cui gli aidonesi denominano una zona del quartiere di Sant'Anna, tra l'ingresso alla Villa Comunale l'inizio della via Sant'anna. Il nome è una sorta di assonanza rispetto a quello originale, Visita Poveri.  Il nome deriva da una chiesetta dedicata Maria Visita Poveri, che si trovava probabilmente nei pressi del largo che diventò poi Parco della Rimembranza. La chiesetta ospitava una congregazione che si prendeva cura dei più poveri. Della chiesa si sono perse le tracce. 

NOTE

- Nella foto in alto, pescata nel mare magnum di Facebook, si vede sullo sfondo il rudere del convento in tutta la sua grandiosità con ancora le mura perimetrali. 

- Voglio ringraziare Pippo per lil regalo che mi ha fatto. Tempo fa mi fece leggere due suoi brevi racconti inediti, scampoli di ricordi che si aggiungevano a quelli che scorrevano nelle pagine del suo romanzo aidonese. Ieri mi ha autorizzato a pubblicarli in questo mio sito. Un  grande onore per me, di cui non lo ringrazierò mai abbastanza, un dono che condivido con i nostri compaesani ed amici. Tra i due ho scelto  per primo "Il Boschetto di Sant'Anna"  

Questo racconto mi sta particolarmente a cuore perchè ci racconta di un primo grande delitto che si perpetrò nei confronti dell'ambiente naturale aidonese. Nel parlare della chiesa e del convento di Sant'Anna ho più volte accennato al Bosco in cui era immerso il convento, un'area verde che noi non abbiamo conosciuto perchè al suo posto erano già sorte le case popolari e il campo di calcio.  Pippo Castiglione ci racconta gli ultimi spasimi del Bosco e ritornano alla mente le parole del poeta " Dov'era l'ombra, or sé la quercia spande morta, né più coi turbini tenzona. La gente dice: Or vedo:era pur grande! " 

- non so di chi sia la foto postata qualche tempo su Fb che ho messa a capo di questa pagima, chiunque sia il proprietari se me ne da il permesso lo ringrazierei.